Il tempo dell'ascolto, le voci di oggi per le storie di ieri

San Cesario di Lecce, all’interno del Museo Civico, ospita l’Archivio Sonoro di Comunità che, insieme al museo e alla distilleria De Giorgi, compone quello che Fabio Tolledi di Astràgali Teatro chiama il “Sistema San Cesario”, una rete di luoghi della comunità.

Tempo di lettura: 3 minuti

“Quando finisci di pranzare vieni, che ti devo dire”, Anna Cucurachi era sempre lì, fuori dalla porta di casa ad aspettare Andrea Margiotta quando, da studente dell’Istituto d’arte, scendeva dalla corriera in via Unità d’Italia a San Cesario per andare a mangiare dalla nonna. In paese la conoscevano tutti come “l’Annina te li pupi” per via di quegli incredibili bassorilievi fatti con la lana e il filo di ferro che raccontavano dalle novelle di San Francesco alla favola di Pinocchio. La sua storia, l’emozione di mostrare i tanti premi che aveva vinto a quel ragazzino, è custodita nell’Archivio Sonoro di Comunità a San Cesario di Lecce, all’ultimo piano del palazzo del municipio, all’interno del Museo Civico.

“La città che parla” è il progetto realizzato dall’artista sonora Daniela Diurisi dell’associazione Petrolio centrato sull’educazione all’ascolto, per ritessere il dialogo sociale opponendo una strenua ma gentile resistenza alla velocità della comunicazione moderna. “Proprio quando stavamo per cominciare arrivò il Covid”, racconta Daniela, “e allora cercammo un modo alternativo”, ed ecco la segreteria telefonica: i sancesariani potevano lasciare la propria storia, semplicemente, telefonando. “Il primo messaggio fu emozionante. Arrivò dal centro Africa. Un sancesariano aveva saputo del progetto dalla zia e ci ha raccontato del vecchio cinema del paese”. Appena fu possibile però si scese in strada con le interviste itineranti. Sedia, microfono ad asta e registratore, una volta individuato il “narratore privilegiato”, il capannello si formava subito e i racconti fluivano.

Oggi quelle storie dondolano appese a un filo sottoforma di “Santini sonori” in una stanza luminosa e solo apparentemente minimale: basta inquadrare il QR code sul retro e il “c’era una volta” ha inizio. Nessuna domanda, le persone parlano, raccontano, tornano indietro con la memoria e i ricordi riportano in vita chi non c’è più. Il tempo rallenta, l’ascolto si fa intimo e denso, la nostalgia è solo una sfumatura addolcita dalla possibilità di condividere. “Mi chiamo Fabio Lezzi, e voglio raccontare di Ezechiele Leandro perché gli voglio bene”. L’artista “primitivo”, e il suo “Santuario della pazienza” in via Cerundolo, è vivo nella voce del bambino che fu, intimorito eppure affascinato da quell’uomo così diverso dagli altri. A lui, sono dedicate le piccole ed evocative teche sonore dell’artista Brunella Tegas: si indossano le cuffie, si sposta la levetta e una luce illumina le interviste e le testimonianze, la voce di Leandro si intreccia alle voci di oggi nella toccante opera sonora di Daniela.

Ma le storie sembrano fremere, vogliono essere ascoltate e l’archivio è vorace, ne vuole altre. In un angolo due sedie con microfono e registratore offrono ai sancesariani la possibilità di raccontarsene altre, più in là possono fare la stessa cosa da soli, davanti a uno specchio. Le persone e i luoghi, i veri focus del progetto, si ritrovano nella grande mappa sonora del paese: con un’applicazione sul telefono si possono ascoltare camminando per le strade, nei vicoli e tra le corti incuneate nel centro storico, veri e propri microcosmi di relazioni come corte delle Moline. Nei pressi dei binari ferroviari, la voce di Antonella Dell’Anna racconterà dell’usanza di un tempo di portare i bambini a passeggiarvi accanto, credendo che i vapori del treno facessero bene ai bronchi. Adesso quella stanza quasi vuota sembra affollatissima e il richiamo della terrazza dalla quale si domina tutto il paese e oltre, fino alla curvatura dell’orizzonte, è forte. Echeggiano nella mente le parole di Daniela: “Abbiamo messo a dimora dei piccoli semi per trovare l’eccezionalità della quotidianità”, e quelle di Fabio Tolledi: “La memoria è anche un atto trasformativo non è un atto pietrificato”. E guardando dall’alto la città che parla, sembra di sentire anche la città che cambia.

Articoli correlati

Dallo stesso Autore