Le ripe fertili d'autore
Il nuovo album di Carmine Tundo. L'intimo, passionale e nostalgico “La Valle dell’Asso”
C’è un minuto torrente che taglia in due il Salento, che per ironia della sorte al mare non arriva mai e “diventa pazzo”. E quella valle a margine, “dove ogni storia profumava di grano appena mietuto, di lucciole e di tabacco”, resta sospesa in un tempo rarefatto, condannata a essere forse solo immaginata. Ha l’alone magico e sorprendente che hanno certi film l’ultimo progetto da solista, e a proprio nome, di Carmine Tundo, “La Valle dell’Asso”, come fosse tratto dalla migliore Nouvelle Vague o dai western d’autore. Il concept mette insieme la voce familiare dell’eclettico cantautore a suoni di una raffinatezza che potrebbe dirsi “di nicchia”. C’è poco dell’indie de La Municipal, quasi nulla dell’elettronica popolare di Mundial, alcuni dei molti progetti del cantautore. C’è invece un sentire intimo, dove la passione e la nostalgia cedono però sempre il passo all’ironia sottile e scura. È recitato l’incipit, “Preghiera di Sirgole”, una pacata invocazione che va in crescendo. Il racconto entra nel vivo con “Il canale dell’Asso”, dove si avvicendano braccianti indiavolati, lavandaie e un pastore con un cuore grosso; si procede con l’eco morriconiana di “La calma prima” e la successiva “Tempesta” che incalza, ovvio, un ritmo più netto. Una chicca, “L’arcangelu Michele”, in cui la lingua diventa salentina nelle onde della chitarra. Dopo la strumentale “L’onorevole De Maria”, “La chiesa madre di Galatina” è ancorata al Salento con i suoni folk. Ancora una pausa morbida con “Lucia da Collemeto”, per finire con “Il primo raccolto”, un canto di struggente passione irrisolta che trova conclusione nella “Chiusa”, che chiude il cerchio. Un sogno, forse, nel quale si vuol sempre ritornare.